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La storia del menu e le regole da rispettare

Il menu: storia, regole e ispirazioni

Il menu è certamente uno dei dettagli della mise en place e come tutti i dettagli non va di certo sottovalutato. Ripercorriamo insieme la sua storia e vediamo insieme quali sono le regole da non dimenticare.

 

Origine della parola e significato

Il termine “menu” (pronunciato “menù” e scritto in italiano con o senza accento) ha origini francesi e deriva dalla parola “minuta”, e cioè l’appunto che il capo cuoco o, in alcuni casi, il maggiordomo, compilava quotidianamente per il padrone di casa in base alla disponibilità della dispensa, del mercato e della propria creatività. Secondo la definizione data all’inizio del Novecento dal celebre chef d’Oltralpe Auguste Escoffier, che all’arte di comporre il menu dedicò un intero libro, questa parola ha due distinti significati: il primo indica l’insieme delle pietanze e delle bevande che entrano nella composizione di un pasto; il secondo si riferisce al cartoncino sui cui il programma è riportato.

!! Attenzione quindi: non si tratta dell’elenco di tutte le pietanze disponibili nel ristorante ma di una selezione per il servizio! Quella che troviamo al ristorante è invece la “carta delle vivande” o più comunemente “carta”.

I menu nella storia

Il foglio di carta con la lista delle pietanze, comunque, non è sempre esistito, o per lo meno non così come lo intendiamo oggi.  I più antichi e vaghi modelli di menu risalgono agli inizi del Medioevo. Si tratta di poemetti che descrivono la successione delle portate durante i banchetti. Tra questi celebre è “l’Ordine de le Imbandisone” che descrive il banchetto preparato per le nozze tra Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Maria Sforza, passato alla storia per la sua fastosità e spettacolarità (non a caso fu Leonardo Da Vinci a dirigere il tutto). Per questo banchetto vennero impiegati attori e ballerini che impersonavano gli dei dell’Olimpo dando vita ad un vero e proprio “menu animato”: Mercurio, il messaggero degli dei, serviva uccelli ricoperti con una lamina d’argento, Diana, dea della caccia, portava in tavola un cervo e così via.

Un altro documento, conservato all’Archivio di Stato di Milano, riporta le vivande servite durante un altro banchetto tenutosi sempre per conto degli Sforza e in esso, per la prima volta nella storia, sono indicati anche i vini di accompagnamento delle varie portate. Ci sono naturalmente tanti altri esempi ma per arrivare al menu così come lo intendiamo oggi dobbiamo aspettare l’Ottocento.

La nascita del menu

La nascita del menu, inteso come cartoncino posto a tavola a disposizione dei convitati, è dunque relativamente recente. Si fa comunemente risalire il suo uso al passaggio dal “servizio alla francese” al “servizio alla russa” che fa la sua prima comparsa grazie al principe russo Alexander Borisovich Kurakin, ambasciatore dello zar in Francia. Questi, nel 1810 nella sua residenza di Clichy, propose ai suoi ospiti un nuovo modo di consumare il pasto, introducendo un nuovo modo di servire a tavola, definito “alla russa” appunto. In quell’occasione i cibi vennero serviti uno per volta dai camerieri, soppiantando così il “servizio alla francese”, usato fino ad allora ma considerato dal diplomatico russo troppo sfarzoso e caotico, sprecone e irrazionale.

Il servizio alla francese

Il servizio alla francese, difatti, prevedeva la disposizione contemporanea di tutte le portate sulla tavola in modo che i convitati potessero servirsi da soli, ma esclusivamente dai piatti che riuscivano a raggiungere, mescolando i vari sapori a piacimento. Ciascuno si organizzava il proprio personale menu, obbedendo ai propri gusti e al proprio appetito. Maggiore era la quantità e la varietà di cibo ad ingombrare la tavola, più spettacolare era il banchetto agli occhi degli ospiti.

Sempre più attenzione era rivolta alla scenografia della tavola che puntava ad impressionare i commensali con l’ostentazione di lusso e abbondanza. La tavola era decorata con i famosi “trionfi”, sculture di zucchero o di marzapane, rappresentanti animali, stemmi araldici o scene mitologiche.  Una vera e propria arte, si potrebbe dire antesignana del moderno cake design. E poi decine di vassoi, dai quali i convitati prelevavano, autonomamente o aiutati da un domestico, i cibi desiderati, proprio come accade oggi con i buffet. In questi casi, quindi, non era necessario preparare un menu scritto, poiché le proposte gastronomiche erano immediatamente visibili ai commensali. Secondo quanto scrive Escoffier, i dubbi degli ospiti riguardo alle preparazioni erano risolti da cartellini collocati accanto ai piatti che riportavano i nomi delle pietanze.

Il servizio alla russa

Anche se meno spettacolare, il servizio alla russa comporta un notevole snellimento delle procedure, a beneficio dei convitati e della macchina organizzativa. In questo nuovo sistema, le varie pietanze vengono presentate secondo un ordine di successione lineare, scandito in base alla tipologia qualitativa delle vivande. Un sistema che presentava, dunque, notevoli vantaggi:

– Il numero delle preparazioni era ridotto, ciò permetteva una maggiore cura di ogni piatto e dava la possibilità ad ogni commensale di assaggiare tutte le pietanze preparate;

-I piatti arrivavano in tavola appena cucinati, al giusto punto di cottura e ben caldi;

-Il pasto cominciò ad acquisire una sua struttura, con una sequenza più chiara e razionale;

Si riduce lo sfarzo ma soprattutto lo spreco.

Le opinioni contrastanti degli chef

A dispetto di tutti questi vantaggi, però, il servizio alla russa faticò ad imporsi. Ci vollero degli anni perché venisse accettato non solo dai commensali ma anche dai cuochi. Vincenzo Agnoletti, chef di Maria Luigia d’Austria, commentava negativamente: «Il servire le tavole alla russa, con un piatto di cucina alla volta, trinciandolo fuori di tavola, è una cosa molto inconveniente, poco decorosa, ed il cuoco non figura nulla con il suo lavoro; onde io non solo non l’approvo, ma in Francia e Germania ancora non è sistema che piace, onde è inutile a parlarne»

Non era della stessa opinione Marie Antoine Careme, noto come “il cuoco de re e il re dei cuochi”, che era un esteta della cucina e non poteva non apprezzare questo nuovo tipo di servizio.

Fu però un altro grande della cucina francese, Urbain Dubois, ad imporre finalmente nel 1860 il servizio alla russa nelle corti di tutta Europa. Le vivande venivano ora servite in sequenza e non fu più possibile avere una visione globale e immediata dell’intero pasto. Si rese, dunque, necessaria la presenza di un’informazione scritta: il menu, appunto. In questo modo il commensale poteva farsi un’idea di che cosa lo aspettava e quindi scegliere e quantificare le porzioni che si sarebbe fatto servire.

Come ben sottolineano gli autori della Cuisine classique (1864), Urbain Dubois (1818-1901) ed Émile Bernard (1797-1888): «La convenienza esige che i commensali siano informati sulla composizione del pranzo, affinché possano fissare la loro scelta e regolare il loro appetito. Bisognerà dunque che i maggiordomi ne distribuiscano sulla mensa una quantità sufficiente; uno per ogni due persone se il pranzo è numeroso».

L’evoluzione del menu

In origine semplice cartoncino tipografico con l’indicazione della successione delle portate, il menu, nel corso del tempo riporta un campionario di dettagli sempre più sofisticati: l’abbinamento dei vini, l’accompagnamento musicale di una serata, la raccolta firme dei presenti o di un ospite di rilievo.

Nascono poi i menu stampati con la tecnica litografica e cromolitografica che permettono il disegno a colori: la lista delle vivande si arricchisce di illustrazioni anche di grandi artisti. Il menu è ornato da stemmi, simboli, immagini che celebrano la casata di chi invita o l’occasione del convivio. Alla funzione pratica, quindi, si aggiunge quella estetica. Non di rado la realizzazione delle decorazioni del menu veniva affidata a grandi artisti, e alcuni menu da collezione sono dei veri e propri capolavori.

Pittori, incisori, caricaturisti, illustratori e litografici si sono succeduti nei decenni nella creazione di menu originali e personalizzati con immagini evocative, con poesie e brevi composizioni realizzate appositamente per l’occasione, trasformando il menu in un gradito souvenir per gli ospiti.

La lingua dei menu

L’offerta dei piatti che il commensale poteva studiare era redatta sempre in francese. Lo stesso Escoffier, pur lavorando lontano dalla Francia, continuava a proporre i suoi menu solo in francese; era convinto, ad esempio, che l’inglese rendesse i suoi piatti poco attraenti.

Anno cruciale per la storia del menu è il 1908, quando Vittorio Emanuele III con un’ordinanza reale impone anche sul cartoncino gastronomico la lingua italiana, condannando i francesismi e i vocaboli francesi.

Nell’occasione lo stesso termine francese menu verrà tradotto oltre al corrispondente antico “Minuta” anche in Lista, Lista delle vivande, Distinta, Distinta del pranzo, ed anche con i più fantasiosi Gastrovivanda, Gastronota, Vivandaio, Godenda o Rancio.

Guida e promemoria della sequenza delle portate, il menu è, dunque, un’attestazione della storia non solo gastronomica ma anche sociale. Questo semplice cartoncino, difatti, è testimone del gusto della tavola e della sua evoluzione ma anche specchio dello stile delle varie epoche.

Il menu oggi: regole e ispirazioni

Il menu tutt’oggi va rapportato alla tipologia e allo stile dell’invito. Per un ricevimento o un’occasione più formale la presenza del menu è d’obbligo. Sarebbe opportuno, inoltre, prevedere un menu per persona.

Scegliete i materiali e il formato del menu pensando allo stile dell’evento e (se si tratta di un ricevimento) tenendo conto dell’intero corredo grafico (inviti, segnaposti, biglietti di ringraziamento). Usate un carattere chiaro e facilmente comprensibile.

Un menu corretto dovrebbe essere composto da un minimo di tre ad un massimo di cinque portate (antipasti, primi, secondi di pesce, secondi di carne, dolce e frutta). Il pesce sempre prima della carne e il dolce prima della frutta, formaggi e salumi solo a mezzogiorno e il sorbetto, se è proprio indispensabile, si serve solo tra il pesce e la carne. Le portate dovrebbero essere decise in base alle preferenze degli invitati. In ogni caso è sempre bene prediligere ingredienti di stagione e tener conto di eventuali allergie, intolleranze o prescrizioni religiose osservate dai nostri ospiti. Non è consentito, inoltre, usare più volte durante il pasto le stesse cotture o gli stessi ingredienti (a meno che non si tratti di un menu a tema).

Il menu: dove si mette e come si scrive

Il menu va posizionato sulla tavola, oltre il tovagliolo, o sul sottopiatto, mai nel piatto in cui si mangia. Scritto a mano (preferibilmente) o stampato, l’importante è che segua queste poche ma importanti regole:

-si usano le maiuscole per la prima lettera di ogni portata e per i nomi propri;

-niente articolo prima dei nomi dei cibi;

-ogni portata deve essere scritta in modo distaccato dalla successiva ma accostata ad eventuali salse o verdure di accompagnamento.

Visto che l’occhio vuole sempre la sua parte, è sempre consigliabile non trascurare i dettagli della mise en place. Può essere utile, ad esempio, dedicare tempo alla personalizzazione e alla cura del menu. Il menu, infatti, oltre ad essere uno strumento utile per i nostri ospiti, può arricchire anche la più semplice delle mise en place e, perché no, trasformarsi in un piccolo souvenir come ci insegna la storia della sua evoluzione.  Se avete bisogno di un po’ di ispirazione potete dare un’occhiata alla nostra nuova bacheca pinterest dedicata ai menu. Ce ne sono di ogni forma, stile e colore, stampati o scritti a mano su diversi tipi di materiali. Non vi resta che scegliere la vostra ispirazione preferita. Non perdetevi tutte le nostre tips sul blog o direttamente alla vostra mail scaricando il nostro catalogo.

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